Ottantacinque anni di storia nella data ufficiale della sua fondazione, 9 gennaio 1936, non si possono riassumere in un solo giorno, ma qui – attraverso il video rievocativo che trovate sotto, è possibile avere un’idea di quello che è, è stata, e sarà l’Olimpia.

Perché 1936? – In origine era il Borletti che nel 1936 vinse anche lo scudetto, il primo della sua storia. Quando Adolfo Bogoncelli ottenne la sponsorizzazione Borletti e fuse il suo club che era stato anche a Como per un anno decise che l’Olimpia (Borolimpia la chiamavano a quei tempi) fosse riconducibile non tanto alla sua “Triestina Milano” ma appunto al club che aveva già conquistato il tricolore quattro volte. I giocatori simbolo di quella squadra erano stati Sergio Paganella e Enrico Castelli.

Cesare Rubini – Quando Bogoncelli lanciò il suo progetto, pur trevigiano, continuò a rivolgersi alla scuola triestina come aveva fatto in precedenza. Il suo uomo guida fu Cesare Rubini. Rubini nel 1948 avrebbe cominciato la sua storia milanese da allenatore-giocatore, in seguito rimase solo come coach vincendo qualcosa come 15 scudetti. La prima stella della sua squadra era stato Ricky Pagani.

I triestini – Oltre a Rubini, il primo grande triestino della storia dell’Olimpia fu Romeo Romanutti, che peraltro era nato a Spalato. Romanutti era già stato capocannoniere della Serie A a Trieste, poi vinse il titolo anche a Milano. Dopo Romanutti ci fu Gianfranco Pieri che arrivò nel 1955 dopo aver segnato 34 punti all’Olimpia che lo acquistò subito. Vinse nove scudetti. Quando guidò la squadra alla Coppa dei Campioni del 1966 la sua riserva era Giulio Iellini, triestino anche lui che avrebbe ereditato il posto di playmaker titolare negli anni seguenti.

I veneziani – Sergio Stefanini è stato il primo grande fenomeno del basket italiano. Vinse tre scudetti alla Reyer e quando passò al Borletti fu il primo grande colpo di mercato del club con cui poi vinse cinque scudetti. L’altro grande veneziano fu Gabriele Vianello che però fu prelevato da Varese. All’Olimpia vinse quattro scudetti e fu decisivo nella conquista della Coppa dei Campioni del 1966, quando segnò 40 punti contro il Real Madrid eliminandolo.

Gli isontini – Paolo Vittori ha vinto tre scudetti a Milano, è stato capocannoniere una volta e tre volte secondo realizzatore del campionato italiano. Se ne andò nel 1965 per andare a Varese. Dopo di lui c’è stato Pino Brumatti, guardia della squadra dei primi anni ’70, quelli della rivalità e degli spareggi con Varese. Infine, Roberto Premier, nato a Spresiano, in Veneto, ma arrivato da Gorizia nel 1981 e starter della squadra che vinse cinque scudetti e due Coppe dei Campioni.

I pesaresi – Sandro Riminucci soprattutto, l’Angelo Biondo che tirava i tiri liberi da sotto e detiene il record di società di punti segnati in una gara, 77. Ha vinto nove scudetti a Milano, oltre alla Coppa dei Campioni del 1966. Lui e Pieri erano una coppia di guardie fenomenali. Dopo di lui c’è stato Daniel Hackett, playmaker dello scudetto del 2014, e poi Andrea Cinciarini, capitano dell’Olimpia dal 2016.

Gli allenatori – Dal 1948 al 1987, in 40 anni di storia, l’Olimpia ha avuto solo tre allenatori. Cesare Rubini, Pippo Faina e Dan Peterson. Faina era già all’Olimpia, Peterson venne scelto da Bogoncelli e quando si ritirò venne sostituito da Franco Casalini, che era già all’Olimpia. Quando Casalini lasciò Milano venne nominato Mike D’Antoni che fino a pochi giorni prima giocava. Per quasi cinquant’anni, di fatto, l’unico allenatore “esterno” scelto dall’Olimpia è stato Dan Peterson.

Sandro Gamba – Da giocatore ha disputato 15 stagioni all’Olimpia, record di tutti i tempi, poi è stato il primo grande assistente allenatore nella storia del basket italiano, lavorando per Cesare Rubini. Da giocatore ha vinto 10 scudetti.

La Hall of Fame – Rubini e Gamba sono due dei cinque membri della Hall of Fame che abbiano fatto parte dell’Olimpia. Oltre a loro, ci sono Dino Meneghin, Bill Bradley e Bob McAdoo.

Bill Bradley – Nella stagione 1965/66, la federazione decise di riaprire le frontiere e l’Olimpia poté giocare in Europa con due americani, Skip Thoren, centro da Illinois, e Bill Bradley, solo in coppa, star di Princeton, già scelto dai New York Knicks ma deciso a trascorrere due anni a Oxford per studiare. Rubini lo convinse a giocare in Coppa per il Simmenthal e lui fu decisivo nella conquista della prima Coppa dei Campioni, del club e di una squadra italiana.

La Coppa dei Campioni del 1966 – Con una squadra tutta italiana, l’Olimpia era arrivata alla semifinale nel 1964 vincendo a Milano, ma perdendo a Madrid contro il Real. Nel 1966 consumò la vendetta battendo il Real Madrid al Palalido con 40 punti di Vianello e conquistando le Final Four di Bologna dove prevalse su CSKA Mosca e Slavia Praga.

Il piccolo Slam – Dopo la creazione della Coppa Italia, l’Olimpia conquistò il cosiddetto “Piccolo Slam” nel 1972 vincendo appunto la Coppa Italia, lo scudetto nello spareggio (uno di quattro, di cui tre consecutivi) contro l’Ignis Varese e infine la Coppa delle Coppe contro lo Spartak Leningrado di allora. Elementi chiave di quel periodo erano oltre a Giulio Iellini e Pino Brumatti, il centro toscano Massimo Masini, oltre 4.000 punti in maglia Olimpia, e Renzo Bariviera.

Arthur Kenney – L’americano di New York che aveva giocato al liceo con Kareem Abdul-Jabbar era il simbolo della squadra che vinse due volte di fila la Coppa delle Coppe e raggiunse la semifinale di Coppa dei Campioni nel 1973, l’anno del terzo spareggio perso a Bologna contro l’Ignis. Per il suo spirito da gladiatore e uomo squadra, la sua maglia numero 18 è stata ritirata.

Mike D’Antoni – Nel 1977, l’Olimpia convinse Mike D’Antoni a venire in Italia dopo alcune stagioni in America da professionista incluse 130 gare NBA e un posto nel secondo quintetto di rookie nel 1973/74. D’Antoni ha cambiato la storia del club, ha vinto cinque scudetti, due Coppe dei Campioni e preso possesso dell’albo dei record di società (punti, assist, tiri da tre). La sua maglia numero 8 è stata ritirata.

Il settore giovanile di Milano – La squadra degli anni ’80 ricevette il grande contributo di tanti prodotti del settore giovanile dell’Olimpia che hanno fatto storia, i più importanti sono stati Franco Boselli e Vittorio Gallinari, ma prima di loro vanno menzionati Paolo Bianchi e Vittorio Ferracini (acquistato 16enne da Pordenone), dopo di loro ci sono stati Riccardo Pittis e Flavio Portaluppi. Un altro prodotto del vivaio, Dino Boselli, è servito per acquistare nell’estate del 1981 da Varese il grande Dino Meneghin.

Dino Meneghin – Nel 1981, l’Olimpia dopo aver cambiato proprietà passando da Bogoncelli alla famiglia Gabetti ha acquistato da Varese un giocatore di 31 anni, che per molti era già superato. Invece Meneghin avrebbe vinto altri cinque titoli italiani e raggiunto otto finali consecutive.

Il colpo mancato – E’ una storia che fece scalpore. Nel 1980, l’Olimpia era riuscita a convincere la terza scelta assoluta del draft NBA, Kevin McHale a venire a Milano sfruttando una trattativa morta con i Boston Celtics. Ad una settimana dall’inizio della stagione, McHale si apprestò a firmare il contratto quando Boston capitolò accettando le sue richieste e riportandolo a casa. L’Olimpia se la cavò lo stesso perché firmò John Gianelli

I grandi USA degli anni ’80 – Gianelli diventò il centro dello scudetto del 1982 e giocò anche una finale di Coppa dei Campioni, nel 1983. In seguito, l’Olimpia ebbe Russ Schoene, Antoine Carr, Joe Barry Carroll, Ken Barlow, Rickey Brown e naturalmente Bob McAdoo. Sottovalutato fu anche l’impatto del giovanissimo Cedric Henderson.

La grande fuga – Nel 1983, l’Olimpia firmò Earl Cureton e vinse tutte le partite fino a quando il centro scappò per tornare in America e giocare a Detroit, inseguito invano fino all’aeroporto. L’Olimpia rispose strappando agli stessi Pistons la prima scelta Antoine Carr che tuttavia non poté giocare in Coppa delle Coppe che l’Olimpia perse in finale contro il Real Madrid.

Il crollo del Palazzone – Nel gennaio del 1985 una nevicata memorabile privò l’Olimpia della sua casa, a San Siro. Dovette ripiegare sullo storico Palalido, giocare in una tensostruttura a Lampugnano e poi ebbe come casa anche il PalaTrussardi nello stesso posto. Nel 1985 il più danneggiato fu Carroll: aveva un bonus legato alle presenze di pubblico che diventò irraggiungibile nel momento stesso del crollo della struttura.

Scudetto da imbattuti – Nel 1984/85, l’Olimpia approfittò della rottura della trattativa tra i Golden State Warriors e Joe Barry Carroll firmando per un anno un centro nel pieno della maturità che valeva oltre 20 punti di media nella NBA. Con lui, l’allora Simac vinse lo scudetto e fu la prima a finire i playoff senza sconfitte.

Bob McAdoo – Nel 1986, nel giro di 24 ore l’Olimpia firmò la prima scelta Ken Barlow e la grande ex stella dei Lakers con i quali aveva vinto due titoli (ma in precedenza era stato capocannoniere NBA a Buffalo e MVP) Bob McAdoo. Aveva 35 anni. In quattro anni ha vinto due scudetti e due Coppe dei Campioni. Nessun americano, a parte D’Antoni, ha avuto un impatto simile.

Il Grande Slam – Sempre nel 1986, l’Olimpia partì per vincere la Coppa dei Campioni ma nel turno preliminare perse di 31 a Salonicco e solo vincendo di 32 nel ritorno sarebbe rimasta in corsa. Con una rimonta diventata epica, seppellì l’Aris e si qualificò per il girone finale. Battuto il Maccabi in finale, vinse anche scudetto e Coppa Italia. Il Grande Slam, appunto. Dan Peterson si ritirò e Franco Casalini prese il suo posto.

Il Back to Back – Franco Casalini, autentico uomo Olimpia, gestì un parziale rinnovamento con gli arrivi di giocatori giovani come Piero Montecchi e Massimiliano Aldi al posto di Franco Boselli e Vittorio Gallinari. L’Olimpia nell’anno del ritorno alle Final Four, prevalse su Aris e Maccabi vincendo il secondo titolo europeo consecutivo.

I proprietari – Dopo Bogoncelli e Gabetti, l’Olimpia ha avuto numerosi proprietari: Bepi Stefanel con il quale arrivò lo scudetto del 1996, poi Sergio Caputo con il sostegno di Joe Bryant, Gabriele Tacchini e Giorgio Corbelli. Con Corbelli, la proprietà era plurima e nel 2004 come sponsor entrò Giorgio Armani.

L’era Armani – Nel 2008, la proprietà dell’Olimpia di allora si squagliò e di fronte al rischio di una scomparsa, Giorgio Armani rilevò tutto il club aprendo una nuova era che dura tuttora. Da quel momento, ha vinto tre scudetti, due Coppe Italia, quattro Supercoppe.

Momenti storici – Ci sono stati tantissimi flash storici, momenti iconici nella storia del club che rappresentano determinate vittorie. Il tuffo di Bob McAdoo è il simbolo dello scudetto vinto nel 1989 a Livorno; la stoppata di John Gianelli su Mike Sylvester è la fotografia dello scudetto del 1982 contro Pesaro a San Siro; Dino Meneghin piegato dai crampi è l’emblema della Coppa dei Campioni del 1987; il missile di Curtus Jerrells a Siena rappresenta lo scudetto del 2014 come la stoppata di Andrew Goudelock su Dominique Sutton ricorda lo scudetto del 2018.

L’ultima generazione di Americani – Keith Langford, capocannoniere di EuroLeague, Rakim Sanders, MVP plurimo nel biennio 2016-2017, e Andrew Goudelock, eroe dello scudetto del 2018 rappresentano bene l’ultima generazione di Americani che hanno dato tanto all’Olimpia, vincendo e rimanendo scolpiti nella storia del club, al pari di Alessandro Gentile (MVP della finale del 2014), Ricky Hickman (MVP della finale di Coppa Italia del 2017), Nicolò Melli, Kruno Simon, Curtis Jerrells soprattutto.

La nuova era… to be continued – E’ quella attuale, con una cultura societaria, una mentalità e organizzazione ben definite. Con Ettore Messina al vertice e giocatori di esempio come, in ordine di apparizione, Vlado Micov, Sergio Rodriguez, Luis Scola, Kyle Hines e Gigi Datome.

Buon 85esimo anniversario a tutti.

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