Orgoglio di Capitano. Andrea Cinciarini lo è da cinque anni ed è a Milano da sei stagioni. Era arrivato nel pieno della maturità agonistica, adesso è un veterano, quasi una bandiera orgogliosa di esserlo. Il suo ruolo nella storia è certificato. Con compiti e responsabilità diverse ma sempre tanto entusiasmo, Cinciarini ha vinto otto trofei a Milano. Qualcosa vorrà pur dire.

-Cosa significa essere il Capitano dell’Olimpia?

“E’ un motivo di orgoglio, questo è il mio sesto anno a Milano e per me l’Olimpia è come se fosse la mia casa. Ricordo il giorno in cui sono arrivato, ma anche tutte le emozioni vissute in sei anni, belle e brutte che siano state. La carica di capitano ti dà quel qualcosa in più che cerco di onorare essendo di esempio, in allenamento, in campo, fuori dal campo. E’ molto importante coinvolgere giocatori, tifosi, società, cercare di essere una figura importante non solo dentro il campo. Quindi è necessario parlare tanto per aiutare chi gioca poco o ha qualche problema. E’ un ruolo che mi sento addosso, e cerco di farlo al meglio”

-Sei stato Capitano già prima di venire a Milano.

“Sono stato Capitano a Montegranaro, dove sono stato tre anni, e a Reggio Emilia dove sono stato altri tre anni. Poi Milano. Io vedo il basket a 360 gradi, è una vera passione, un amore, quindi cerco di non pensare solo a me stesso, ma di avere una visione di assieme, sulla squadra, su quello che c’è intorno, i tifosi, la società. Quindi è normale finire per dare qualcosa di più e cercare di essere un po’ leader, che sia di tipo emotivo, tecnico, in spogliatoio. Cerco di esserci per tutti. Vedo il basket come uno sport di squadra in cui ho messo sempre i compagni prima di me, al di sopra di me. Poi essendo un playmaker è ovvio che tendo a mettere in ritmo i compagni, non me stesso, e poi mi piace coinvolgere le persone, cercare di essere importante per loro”.

-Il tuo segreto negli anni è stato quello di sapersi adattare prima ad essere protagonista e poi un tuttofare?

“Ho fatto tre anni molto belli e intensi a Reggio Emilia, dove ero parte centrale di tre anni splendidi, dove per la prima volta ho vinto e sono stato MVP nelle Final Four di Eurochallenge. Poi a Milano mi sono adattato a partire sempre da dietro, per poi adeguarmi e finire giocando minuti importanti. E’ ovvio che ci sono state vittorie più sentite qui, come la prima Coppa Italia o il primo scudetto o ancora quello del 2018. Quell’anno fino a gennaio ho giocato poco, poi Pianigiani ha puntato su di me come playmaker titolare e da quel momento abbiamo fatto un percorso come squadra, e io personalmente, davvero intenso. Negli ultimi due anni ho avuto meno la palla in mano, ma non è mai stato un problema. Quello che mi chiede l’allenatore, quello che c’è da fare, che sia una difesa, un rimbalzo o magari un tiro da tre, portare la palla o coinvolgere le persone, io lo farò. Io ci sono”.

-Sei stato spesso elogiato per la tua etica lavorativa.

“E’ qualcosa di molto forte, che ho sempre avuto, fin da bambino. Per me il lavoro paga sempre, ho avuto grandi esempi davanti a me, da Djordjevic quando ero a Pesaro, poi Kaukenas a Reggio Emilia, la sua etica straordinaria. A Milano mi sono confrontato con grandi campioni. Ho vinto, ho giocato tanto, ma non mi sento arrivato e a 34 anni sono convinto di poter ancora migliorare. Negli ultimi anni il mio tiro da tre è cresciuto tanto, ma penso di poter ancora aggiungere qualcosa. Me l’hanno insegnato i grandi campioni con cui ho giocato. E adesso voglio essere io ad aiutare i più giovani come Davide Moretti, spingerlo ad andare in palestra, a lavorare sempre di più”.

-Sei ai vertici di molte classifiche statistiche, soprattutto assist. Che significato rivestono?

“E’ un grande motivo di orgoglio e mi ripaga del lavoro che magari la gente non vede. Quello che fai d’estate ad esempio. Io non mi fermo mai per più di due o tre giorni. In vacanza cerco sempre posti con la palestra per potermi allenare. E poi c’è il lavoro extra che fai quando non giochi dopo una partita o nei giorni liberi. Le classifiche ti ripagano del lavoro che fai nell’ombra, ma che personalmente faccio volentieri. Il giorno che non avrò più voglia di farlo sarà quello in cui capirò che la carriera da giocatore è finita. Ma per ora la voglia è ancora tantissima, mi sento meglio di quando avevo 25 o 26 anni. Adesso conosco meglio il mio fisico, so dove posso arrivare. Gioco in un club attrezzatissimo dove c’è tutto per recuperare e prestare attenzione al proprio fisico e io utilizzo tutto, inclusa l’alimentazione”.

-Quando entravi in campo in tempi normali c’era il boato del Forum.

“Sento amore, e sono grato ai tifosi per questo, soprattutto so che è un qualcosa che è stato costruito nel tempo. All’inizio c’era un po’ di titubanza nei miei confronti e d’altronde il mio percorso all’inizio è stato difficoltoso. Non è stato semplice arrivare in un club così grande, trovarmi insieme a 13-14 giocatori ed essere subito performante. Oggi i tifosi sanno che giocatore e persona sono. Sanno per cosa gioco, per vincere, per dare il massimo e fare le cose che non si vedono nelle statistiche, un tuffo, una palla recuperata, un tagliafuori. Nei tabellini non appaiono ma magari ti fanno raddrizzare una situazione difficile”.

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