Per il general manager Christos Stavropoulos è un giorno felice “perché siamo riusciti dopo sei anni a riportare a Milano un giocatore che non ha bisogno di presentazioni per quello che ha fatto, come è quello che rappresenta. È nel pieno della maturità di atleta e uomo”. Per Nicolò Melli è persino difficile parlare di ritorno, “perché sono cambiate tante cose, persone, ma questa è una società ambiziosa e io non vivo questa esperienza come un punto di arrivo. Sono contento di essere qui, ma voglio vincere come tutti all’Olimpia”. Alla fine, si dirige verso Piazza Duomo quasi riprendendo possesso della città lasciata sei anni fa.

Il mercato – “Ho firmato per l’Olimpia prima che cominciasse la free agency nella NBA, quindi la mia è stata una scelta precisa. Quando ho parlato con il Coach Messina, quello che mi ha prospettato sia a livello individuale che di squadra mi ha conquistato. Ecco perché non ho rimpianti. Sono contento della mia esperienza NBA, ma sono anche contento di essere qui, motivatissimo dalle sfide che ci attendono”.

Il progetto Milano – “Questa è una società ambiziosa, che è arrivata ad un tiro dalla finale di EuroLeague. Per me ha rinunciato ad uno dei migliori giocatori della squadra, se non il migliore (Zach LeDay-ndr), e questo mi ha detto molto del tipo di stima che ha per me l’Olimpia. Quello che mi è stato prospettato mi ha conquistato”.

Cosa rappresenta Milano – “Per me rappresenta una storia importante, ma quando sono andato via ho vissuto tutte le altre tappe come momenti di crescita. Non so cosa rappresenteranno i prossimi tre anni qui, ma so che non li considero un punto di arrivo, ma una ripartenza. Sono venuto qui con l’obiettivo di vincere il più possibile”.

La sfida italiana – “E’ bello che si viva una sfida di questo livello anche in Italia, con la Virtus, ma credo ci siano altre squadre di alto livello, ad esempio Venezia e Sassari che fanno sempre bene. Quando ero qui c’era la sfida con Siena, ora con Bologna. E’ importante ci siano club che investono e giocatori di alto livello, ma non la vivo come una sfida a due, ci sono altri club forti”.

Il mercato europeo – “Sono concentrato su Milano, non su altro. Quello che mi è stato prospettato da allenatore e club mi ha convinto e adesso sono qui, contento, e con l’obiettivo di vincere. Al Fenerbahce ho fatto due volte le Final Four, è stato bello, perché non è mai scontato”.

L’ipotesi Capitano – “Ho sempre detto che essere il Capitano della Nazionale mi ha reso orgoglioso, ma aggiungendo che i gradi sono di Gigi Datome e io ho solo tenuto la fascia in caldo per quando tornerà. Qui non ho parlato ancora con nessuno. Per tutti i giocatori, soprattutto per un italiano essere Capitano dell’Olimpia sarebbe un onore incredibile, ma non è una decisione che spetta a me. Ne sarei felice se fosse, oltre ogni dubbio, una decisione condivisa anche con la squadra. Contando i cinque anni che ho trascorso qui, probabilmente sono il giocatore con più presenze, ma è anche vero che manco da sei anni e non ho mai giocato a Milano con nessuno di questi ragazzi. Al massimo, ho giocato con Datome a Istanbul”.

Rivincita personale – “No, non ho rivincite da prendermi. Quando sono andato al Bamberg l’ho fatto per fare un passo avanti, cambiare ruolo all’interno della squadra. Ora torno, ma ripeto che sono cambiate tante cose e l’unica aspirazione che ho è quella di aiutare la squadra a vincere”.

Il ricordo del 2014 – “Lo scudetto è stato una gioia indescrivibile. Ho anche un aneddoto da raccontare. Alla fine di Gara 7 il mio primo pensiero era stato per i miei genitori, volevo andare da loro in tribuna. Ma c’era stata l’invasione di campo, non si capiva nulla. Io mi muovevo ma non riuscivo ad avanzare perché un signore mi tratteneva. Una volta, due, tre. Alla fine per divincolarmi l’ho spinta via. Quando sono arrivato ho trovato solo mia madre. Poi ho capito che la persona che mi stava trattenendo era mio padre. Quella spinta gli è costata un mese e mezzo di mal di schiena”.

Quello che resta della NBA – “E’ stata un’esperienza che mi ha dato tanto, anche se nella seconda stagione ho giocato poco. Mi porto dietro tante cose buone e un po’ di ruggine che probabilmente è affiorata anche in Nazionale. Ma ci sarà tempo per giocare tante partite e togliersela di dosso. Ho giocato contro i migliori al mondo, ma ci sono grandi giocatori anche qui”.

I compagni di reparto – “Sono contento finalmente di giocare con e non contro Kyle Hines. Abbiamo cominciato a giocare contro quando lui era a Veroli in A2 e io a Reggio Emilia in A2. Finalmente lo avrò dalla mia parte. Mi incuriosisce anche Mitoglou perché è un giocatore contro cui ho fatto sempre tanta fatica. Potremmo essere intercambiabili e anche questa è un’arma utilizzabile. Poi sono contento di ritrovare Biligha che è il Kyle Hines italiano, Pippo Ricci come in Nazionale che ci darà qualità, e Kaleb Tarczewski: fisicamente è una bestia”.

Le Olimpiadi – “Non ho un ricordo unico, mi porto dietro tanto entusiasmo e la consapevolezza di aver vissuto un’esperienza che non tutti possono vivere. Poi ho avuto uno stacco breve tra Nazionale e ripresa che dovrebbe aiutarmi a partire pronto. Se devo indicare un momento dico piuttosto la vittoria in Serbia, ma noi non l’abbiamo vissuta come una sorpresa. Avevamo visto le loro partite, viste le difficoltà, sapevamo di potercela fare. A Tokyo il bello è quella comunione che si crea anche con gli altri sportivi, vedere le gare assieme ad altri atleti, gioire delle vittorie”.

Il ruolo – “La mia mentalità sempre stata quella di fare ciò che serve alla squadra, essere un secondo playmaker o un facilitatore mi va bene, non ho mai avuto problemi a rinunciare ad un tiro per passare ad un compagno posizionato meglio, forse nella NBA questa caratteristica l’ho pagata”.

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