La grande idea di Jeremy Evans nel 2013 fu quella di abbinare le sue grandi passioni, unirle e portarle sul palcoscenico più luccicante, quello dell’All-Star Game NBA del 2013. Un anno prima aveva vinto la gara delle schiacciate saltando sopra il compagno di squadra agli Utah Jazz di allora, Gordon Hayward, e schiacciando due palloni contemporaneamente. In precedenza, c’erano stati giocatori capaci di schiacciare due palloni o di schiacciare saltando un compagno. Ma le due cose insieme non le aveva mai fatte nessuno. Nel 2013 Evans decise di saltare la sua effige, la caricatura che lui stesso aveva prodotto. Basket e arte. Queste sono le sue due passioni. “Un paio di membri dello staff degli Utah Jazz mi hanno aiutato, è stata un’eccellente occasione di mostrare la mia arte. Non è stato il miglior lavoro che abbia mai fatto, ma essere in grado di dimostrare su quel palcoscenico che ero un artista è stato importante”.

Quando giocava a Western Kentucky, un college al di fuori del giro che conta e garantisce la massima esposizione, secondo il suo coach di allora Darrin Horn nessuno pensava che Jeremy Evans potesse diventare un giocatore NBA tranne… Jeremy Evans. Dopo quattro anni negli Hilltoppers, Evans era diventato il miglior stoppatore di sempre dell’ateneo, ma era stato al massimo un realizzatore da 10 punti a partita nel suo anno da senior. Evans venne invece scelto nel secondo giro dei draft del 2010 da Utah con il numero 55. “Onestamente fin da quando ero bambino mi sono visto a giocare nella NBA, soprattutto per come mia madre mi ha trasmesso fiducia nelle mie capacità, così fin dal primo giorno ho sempre creduto che ce l’avrei fatta.  Quando sono stato scelto, wow,  le parole non possono descrivere cos’ho provato. Tutti crescono aspettando quel momento, è stato come l’avverarsi di un sogno”.

Ai Jazz, Evans è rimasto cinque anni, è diventato un giocatore amatissimo dai tifosi: “Penso sia stata una questione di carattere, di comportarsi con professionalità. Fa parte del modo in cui ti atteggi dentro e fuori del campo, il modo in cui interagisci con i tifosi. Loro sono lì a rendere la partita eccitante, devi restituire qualcosa, giocare duro, competere, vincere le partite”. Nel 2012 ha vinto appunto la gara delle schiacciate: “Non tanti giocatori possono partecipare alla gara delle schiacciate e per me, addirittura vincerla, è stato stupefacente. Portarsi al livello dei grandi giocatori che l’hanno vinta, penso a Vince Carter per dirne uno, vedere quei giocatori e poi essere in grado di imitarli è la più grande soddisfazione che ci possa essere”. Poi nel 2013 il secondo posto dietro Terrence Ross, con la famosa schiacciata che ha mostrato al mondo oltre all’atletismo anche le sue doti di artista. “Ho cominciato quando avevo probabilmente cinque anni – racconta -, è qualcosa che non ho mai smesso di fare, grazie a mia madre e alla fiducia che aveva in me. Mi diceva che ero bravo, in un periodo in cui probabilmente non lo ero, ma ho continuato durante il college, la mia carriera NBA e continuo a farlo ora. Mi piace e quando smetterà di giocare a basket questo è esattamente ciò che voglio fare”.

Ma per il momento c’è un’undicesima stagione da professionista da vivere, la terza in EuroLeague dove ha giocato a livelli eccellenti prima al Darussafaka e poi al Khimki. Cosa può portare all’Olimpia? “Energia, naturalmente, e andrò in campo per combattere e soprattutto aiutare con la difesa, fare qualche stoppata, rubare qualche pallone, fermare gli avversari e cercare di essere la più efficace presenza possibile su ambedue le estremità del campo.”

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